“Chi ricorre al counseling spesso sente internamente una serie
di sé in conflitto, e dirgli di essere se stesso significa creare ancor
più confusione nella confusione. Prima di tutto occorre
trovare se stessi: e questo è il punto in cui entra in scena
il counselor”
“…il counselor deve sviluppare quello che Adler chiama il coraggio
dell’imperfezione, ovvero la capacità di sbagliare. (…)
Coraggio dell’imperfezione significa portare i propri sforzi
su un campo di battaglia importante, là dove si compiono
cose significative e dove il fallimento e il successo diventano questioni
relativamente secondarie ”. ( Rollo May)
Come reponsabile da diversi anni di una Scuola di Counselling nel percorso
formativo sottolineo in modo ricorrente e faccio frequentemente praticare le
diverse posizioni percettive.
Riconoscere le diverse posizioni percettive è una tecnica , nel senso che ha
una modalità di esecuzione, di svolgimento e una particolare applicazione in
determinati momenti nella seduta di counselling e nella formazione.
Riconoscere le diverse posizioni percettive è una filosofia, un modo di pensare,
nel senso che praticare le diverse posizioni percettive implica un modo di come
organizziamo le informazioni, la qualità e la quantità di informazioni che
riusciamo ad avere mettendoci nelle diverse posizioni e di come le connettiamo
tra di loro.
Riconoscere le diverse posizioni percettive ha un legame strettissimo con le
nostre risorse e con le nostre qualità dell’ essere, quali la flessibilità, l’ascolto,
l’umiltà, il discernimento, etc.
Riconoscere le diverse posizioni percettive è una pratica che può dare un
contributo notevole ad una democratizzazione reale della società, attraverso lo
sviluppo, in svariati contesti socio-culturali, della mediazione.
Questa pratica se compresa bene può essere un rivelatore molto profondo
di come ci muoviamo nel modo, di come lo percepiamo e di come lo
rappresentiamo.
Spesso le persone che si rivolgono ad un Counselor si sentono bloccate rispetto
ad una decisione da prendere, non vedono una via di uscita rispetto ad un
problema che stanno affrontando in una relazione affettiva o lavorativa,
riconoscono di fare sempre le stesse mosse in una coazione a ripetere senza fine.
Avviene frequentemente anche per il senso di “identità” di rimanere
imprigionati in una certa fissità; l’identificazione in una immagine di noi che si
riconosce in determinate caratteristiche e che se scalfite, o associate ad “altre
identità”, ci mettono in crisi e non ci forniscono la certezza desiderata. Come
dice Amartya Sen in un bel libro – Identità e Violenza – l’ identità può essere
fonte di sicurezza e solidarietà ma anche fonte di violenza e disumanizzazione.
Per questo autore sarebbe importante acquisire la consapevolezza di possedere
dentro di noi una molteplicità di identità differenti (uno, nessuno e centomila),
muoverci tra queste altre identità e connettersi con gli altri con questa
consapevolezza.
In una cultura che non pratica l’ascolto e l’amore abbiamo tutti la tendenza a
fissarci su di una posizione percettiva e facciamo fatica a riconoscere le altre, a
cambiare punto di vista.
Cambiare punto di vista, che può apparire banale e scontato quando
normalmente lo pronunciamo, ha un potere enorme dentro il nostro mondo
interno e un impatto molto profondo nella relazione con gli altri.
Significa rompere una rigidità acquisita e che, se pur scomoda e poco funzionale
rispetto ai nuovi compiti che abbiamo davanti, ci fornisce, ad un certo livello,
sicurezza, diventa una certezza, e cambiare significa affrontare l’incertezza e il
caos.
Come faccio a sapere che andrò verso un maggiore benessere se lascio per un
po’ quel punto di vista ? Chi mi garantisce che sarò premiato da una coscienza
più grande e più saggia ? Nessuno garantisce niente a nessuno per qualcosa che
dovrà avvenire…..ci possiamo solo affidare, affidare al potere della relazione
d’aiuto e riconoscere il cammino di coloro che hanno già attraversato questi
passaggi.
Spesso passare da una posizione percettiva ad un’ altra è come attraversare un
fiume in piena, è come il salto nel vuoto: stiamo sperimentando qualcosa di cui
non abbiamo mai fatto esperienza e solo facendo l’esperienza si capirà…non
possiamo capire prima, solo cognitivamente.
Credo che sia qui che sviluppiamo quel requisito importante sia per il Counselor
che per il suo cliente : il coraggio psicologico. Il coraggio di riconoscere i nostri
limiti, le nostre debolezze e le nostre fragilità, il coraggio di condividerle per
affrontare con meno paura percorsi alternativi a quelli più consueti, affrontare
con meno paura l’inusuale. Il coraggio e la disponibilità a lasciarsi coinvolgere
e a sperimentare nuove “posizioni”, lasciando andare difese e giudizi, e quel
gratificante senso di sicureza che otteniamo quando ci aggrappiamo alle nostre
certezze e alle nostre identificazioni.
Ogni fissazione in una posizione percettiva sviluppa infelicità :
− nella prima posizione percettiva siamo nel nostro sentire, nel nostro
pensiero, nella nostra rappresentazione del mondo, siamo nella
nostra “verità”…. fissandomi qui non fornisco spazio all’altro nel mio
mondo interno, non lo legittimo, la mia verità diventa una vertà assoluta,
il pensiero diventa un pensiero assoluto, il sentire mi autorizza alle
peggiori nefandezze relazionali e perdo il legame con il tutto,
− nella seconda posizione percettiva ci mettiamo nei panni dell’altro,
possiamo percepire le emozioni e i pensieri dell’altro, vediamo il mondo
così come lo vede l’altro, capiamo il suo sistema di riferimento…fissandomi
qui non mi faccio esistere, non riconosco i miei bisogni, non mi ascolto,
posso vivere “per l’altro” aspettandomi una qualche ricompensa…che mai
arriverà e un riconoscimento che non sarà mai come me lo aspetto,
− nella terza posizione percettiva osserviamo la relazione tra noi e l’ altro, la
osserviamo dall’ esterno come fossimo a vedere un film, siamo osservatori
distaccati e neutrali…..fissandomi qui non partecipo mai emotivamente
alle vicende della mia vita, vedo sempre tutto come da dietro un vetro,
sono lucido ma senza emozionalità, non approfondisco e non entro in
contatto con bisogni, desideri, passioni.
Se questa dinamica vale per gli aspetti interpersonali si può applicare anche
alla dinamica delle parti interne che seguono la stessa logica. Mondo interno e
mondo esterno sono sempre in collegamento, se ci troviamo una rigidità interna
difficile che non la troviamo nelle relazioni e viceversa.
Questa “pratica” concreta e maneggevole è espressione di “valori” alti e
profondi, come dicevamo. A questo collegamento spesso non dedichiamo la
giusta attenzione e non diamo il giusto peso.
Credo che sia importante per il counselor in formazione e per i suoi clienti
prendere sempre più coscienza che quando pratichiamo le posizioni percettive
stiamo aumentando e incarnando risorse importanti, che aldilà dell’episodio o
della situazione contingente su cui lavoriamo, ci servono nella vita per affrontare
tante altre situazioni. Diventano un bagaglio di risorse a cui attingere in altri
momenti, per altre situazioni, per risolvere altri problemi.
Credo sia importante sottolineare con più forza questo punto e quindi
sviluppare una maggiore consapevolezza che mentre “si sta praticando” “ si
sta sviluppando qualità dell’ essere” e se “pratico” è perchè ho “acquisito”,
“pratico” perchè ho sviluppato un’ altra “filosofia”.
Si va a consolidarsi due fattori determinanti nei percorsi di crescita e di
orientamento verso il benessere delle persone :
− un progressivo spazio di consapevolezza – c’è un sempre minore evitamento
di contatto tra parti interne e nelle esperienze relazionali. normalmente
rifiutate e giudicate, che tendono a riconfermare antiche credenze
acquisite ma non più funzionali alla crescita della persona,
− il connotarsi come agenti attivi e responsabili dei propri stati interiori e
di contribuire, con il nostro “passo di danza”, alla qualità o alle difficoltà
nelle relazioni.
Con questa “filosofia dell’ ascolto” affronteremo i problemi che si
presenteranno (che credo sempre incontreremo nella vita) attivando le nostre
risorse interne (che pensiamo siano sparite quando siamo nel pensiero confuso,
nell’ansia e nella reattività) e avremo, così, più probabilità di capirne il
significato, costruire un piano d’azione, chiedere aiuto con molta naturalezza,
ricercare il sostegno e il contatto di amici e persone vicine, aumentare il nostro
patrimonio di risorse e approfondire le nostre relazioni.
Spesso confondiamo il problema – una decisione da prendere, un fallimento,
una relazione che va male, un esame da superare, una malattia, …… – con lo
stato di fissazione, di disorientamento, di ansia e paura con cui lo affrontiamo; un
problema affrontato con quel tipo di stato non ha possibilità di essere sciolto, è
necessario che si ritrovi il contatto con il nostro patrimonio di risorse, che si attivi
( o che qualcuno ci aiuti ad attivare, il counselor) la pratica dell’ascolto profondo
e differenziato.
Questa pratica, così apparentemente semplice (una tecnica tra le altre), rivela
nella sua manifestazione valori profondi che poi si ritrovano nella pratica e
nella filosofia della Gestalt , della Teoria dei Sistemi, della Psicosintesi, della
Psicologia Orientale.
Una pratica ed una filosofia che credo molto utile per il Counselor che si trova
a gestire e a rispondere a clienti che si trovano con problematiche relazionali
specifiche agli aspetti del conflitto in una data situazione, spesso in stati
emozionali di ansia, ambivalenza e confusione sul dar farsi con il proprio
sistema risorse oscurato.
Dr. Giuseppe Tomai
Formatore Aico