LA TESTIMONIANZA DI UN GENITORE TRATTA DAL LIBRO " INCONTRARE MAMMA E PAPPA" DI BERTOSCALARI
Quando mio figlio gioca con i suoi amichetti, io non lo lascio mai solo e sono sempre lì ad osservarlo per tutelarlo dall’invadenza e dall’aggressività dei compagni. Valerio è un ragazzino timido e pauroso, io temo che venga sopraffatto dagli altri bambini e che non sappia difendere né se stesso, né i suoi giocattoli. Proprio ieri l’altro mi chiede di andare giù in cortile a giocare con i suoi amici, insiste nel portarsi la sua nuova automobilina telecomandata. Vorrei fermarlo, so già come andrà a finire ma sostenuta dal piacere di accontentarlo, cedo, nella speranza che impari a cavarsela da solo: ha ormai otto anni. Per intervenire in caso di necessità mi affaccio alla finestra. Dopo neanche due minuti i compagni si impossessano della sua bellissima macchinina rossa e si divertono a farla correre per il cortile con grida di gioia, mandandola a sbattere più volte. Valerio sta ad osservarli in un angolo, molto mogio. Scendo giù come una furia e ristabilisco l’ordine delle cose, invece di ringraziarmi, mio figlio mi manda via in malo modo ed addirittura mi scalcia. Che fare? Devo permettere agli amici di impossessarsi dei suoi giocattoli, di rovinarli e di lasciarlo in disparte solo soletto? Io non ce la faccio, è troppo forte il mio obbligo morale di proteggerlo. Altrimenti, che mamma sarei?
Tratto da “incontrare mamma e papà” di Berto e Scalari
Discussione:
RVS (conduttore Radio Voce Speranza): una mamma che vede suo figlio sopraffatto nel gioco con i suoi amici ed interviene. Un intervento che lei sente come un obbligo morale ma la reazione è, però, piuttosto sconcertante: il bambino reagisce quasi come se fosse stato umiliato.
GT (dott. Giuseppe Tomai): vedere il proprio figlio maltrattato o che subisce, come in questo caso, l’allontanamento dei giocattoli che prefigura una sofferenza dello stesso porta a domandarsi fino a che punto si possa proteggerlo, sia lecito farlo ecc. questo fa parte del tema della protezione ed implica un equilibrio delicato: noi ci intromettiamo negli spazi che riguardano, come in questo caso, il gruppo dei pari, cioè un contesto di nostro figlio con i suoi simili.
RVS: perché il bambino, Valerio, ha reagito negativamente all’intervento della mamma?
GT: perché nel contesto del gruppo si sente ancora più debole, più piccolo: agli occhi dei compagni l’intervento ha avuto un’amplificazione della debolezza del bambino. La situazione ne risulta così peggiorata.
RVS: cosa avrebbe potuto fare la mamma?
GT: riuscire ad osservare che c’è questa debolezza nel figlio è importante e quindi parlargli, capire cosa gli provoca, se sente un disagio. Occorre, cioè, avviare una maggiore comprensione del fenomeno tramite il dialogo. Tutto ciò non è facile dato che siamo presi, come genitori, da un dolore, da una emotività molto forte quando si tratta di nostro figlio e quindi tendiamo ad agire, immedesimandoci eccessivamente nel nostro bambino. Perciò cerchiamo immediatamente delle soluzioni invece di aiutare nostro figlio a trovare le sue soluzioni.
RVS: le soluzione di cui parli non sono anche retaggio di quando eravamo piccoli noi, di quando non potevamo fare niente.
GT: ogni genitore porta la sua storia, molto spesso per proteggere il figlio proteggiamo noi dalla nostra ansia, dalla nostra preoccupazione e, in qualche modo, diamo subito una risposta che non aiuta, spesso, a risolvere il problema.
RVS: dialogando col bambino emergerà, probabilmente, uno stato di sofferenza ma è questo sufficiente a risolvere il problema?
GT: è un avvio, innanzitutto gli è riconosciuta la dignità di avere quella difficoltà. Il bambino capirà che si tratta di avviare un apprendimento nuovo, gli permettiamo di ampliare la sua possibilità espressiva all’interno della relazione. Se questa difficoltà non è legittimata, nostro figlio potrebbe non parlarne più, potrebbe pensare a soluzioni sue ma è un bambino e non ha gli strumenti per selezionare quelle confacenti a lui. Il dialogo creato da un genitore deve far sentire il bambino autorizzato a rivelare un disagio.
RVS: ci sono genitori che pensano che queste siano cose che devono risolvere i figli da soli, pensano che essi possano essere temprati da queste situazioni.
GT: sono le due posizioni radicali questa e quella della testimonianza, anche dire “arrangiati” significa esporlo totalmente e far finta di non vedere che ci sono difficoltà. Sono due modi, uno di prendersi totalmente la responsabilità del figlio e uno di non prendersela affatto: come guide dobbiamo prenderci la nostra responsabilità di aiutare il bambino a superare certi ostacoli, senza invadere i suoi spazi.
RVS: bisogna vedere anche il contesto, ci sono fenomeni di forte aggressività nei bambini.
GT: nel caso del famoso bullismo occorre prendere maggiormente in mano la situazione ma, a questo punto, bisogna prendere provvedimenti anche per i ragazzi autori del fenomeno e quindi si richiede un intervento globale. Anche in questi casi dovremmo comunque creare spazi di dialogo, anche con i genitori di questi ragazzi, troppo spesso si immettono azioni, anche repressive, evitando di parlare del problema con gli interessati e perciò non capendo a fondo il fenomeno. Tutto ciò testimonia un fallimento della parola, gli adulti hanno fallito nel loro intento educativo perché non c’è più spazio per la riflessione, per l’ascolto, la condivisione.
RVS: forse, come genitori, non siamo stati attenti nel preparare i nostri figli a determinate situazioni, siamo stati troppo protettivi e non abbiamo insegnato che, a volte, ci vuole una certa durezza nei rapporti?
GT: è difficile insegnare questo: occorrerebbe permettere ai nostri figli di fare delle esperienze, avere delle ferite e poi agire su ciò, aiutandoli, ma l’esperienza rimane la loro. Il problema è quando gli si impedisce di fare delle esperienze, questo è il lato negativo della protezione.
RVS: essendo stato insegnante alle scuole medie posso dire di aver visto bambini che non avevano la capacità di reagire, erano passivi e questo creava una situazione di difficoltà del singolo individuo verso il gruppo. Forse, anche qui, dovremmo con l’educazione insegnare qualcosa ai nostri figli?
GT: dobbiamo segnalare di aver visto tutto ciò e parlarne perché il bambino passivo ha una difficoltà specifica: quella della gestione dell’aggressività, non intesa come violenza ma come forza che abbiamo dentro e che occorre per stare al mondo e difendere la propria dignità, i propri diritti e i proprio valori. Purtroppo anche come modelli, sul tema dell’aggressività, siamo carenti: c’è quello passivo e quindi o si subisce oppure si invita l’altro a reagire con forza. Quanti genitori dicono ai figli di rispondere alla violenza con altrettanta violenza, non ci stiamo avviando verso una società pacifica.
RVS: si tratterebbe quindi di rispondere all’aggressività non in maniera violenta ma neanche passiva. Sono capaci i bambini di fare ciò?
GT: diciamo che hanno la capacità di apprendere e, come tutte le cose, si può sbagliare, si commettono errori ma la tensione verso l’intenzione può risolvere i conflitti in maniera non violenta. L’educazione dei figli fonda il mondo del futuro: questa la meraviglia ma anche la responsabilità di essere genitori, con grande rispetto per gli errori o i fallimenti dell’educazione perché sappiamo che è una cosa veramente grande.