FAVOLE PER GENITORI – ESTRAPOLATE DAI LIBRI DI ALBA MARCOLI ADATTATE DALLA DR.SSA MARIAELENA CICALI (COUNSELOR FAMIGLIARE )
Il bosco delle sette querce era un bosco normale, vi erano animali tranquilli che tutti giudicavano buoni e quelli scatenati che tutti giudicavano cattivi. Un cucciolo tuttavia, in fatto di cattiveria, non aveva rivali: era un lupacchiotto col pelo irto sempre pronto ad attaccare briga. Nella scuola dello spiazzo egli trovava sempre il modo di infastidire qualcuno, gli altri cuccioli si vendicavano chiamandolo “il brutto”. Lupacchiotto faceva finta di niente ma ne soffriva molto, a lui sembrava che tutti avessero a casa una mamma che gli amava molto mentre la sua aveva sempre da fare perché aveva quattro figli e quando si arrabbiava si sfogava sempre con lui. Il cucciolo odiava il fatto che la madre trattasse meglio i suoi fratellini più piccoli e si sentiva diverso dagli altri. Un giorno in cui Lupacchiotto sembrava particolarmente arrabbiato, pure il saggio Leone Criniera d’Oro volle raccontare una storia per calmarlo, e gli narrò della sua gioventù, quando anche il possente felino era forte e prepotente ma era sempre scontento, tranne quando tutti lo ammiravano perché aveva il ruggito più potente del bosco. Un giorno andò dall’albero del gufo millenario e questi gli disse che il suo problema era che non aveva trovato ancora chi fosse e che finora si era visto o rifiutato dagli altri o applaudito. Tale situazione era frutto del suo bisogno che gli altri si occupassero di lui, dato che pensava che sua madre non faceva abbastanza. A queste parole il Leone Criniera d’Oro rimase perplesso ma a poco a poco provò a far entrare quel pensiero nella sua testa e si rese conto che la sua mamma voleva bene a tutti, in modo diverso perché ognuno era diverso. Da allora non ebbe più bisogno di fare dispetti e di farsi applaudire, era come gli altri. Lupacchiotto ascoltò la storia del leone ma penso che la sua fosse una situazione diversa ed andò via più scontento di prima. I pensieri, però, sono come i semi e da uno ne nasce un altro e così, un giorno, cominciò a vedere la madre con occhi diversi: Lupacchiotto vide una mamma stanca, che cercava di occuparsi di tutto come poteva, anche di lui. Sorpreso da quel pensiero, il cucciolo lo scacciò ma, qualche giorno dopo, esso ritornò e rimase un minuto di più. La lotta tra Lupacchiotto e il suo nuovo pensiero andò avanti ed alla fine decisero di fare la pace. Così, nel bosco delle sette querce, non si ebbe più un cucciolo rifiutato o applaudito che per trovare se stesso aveva bisogno di essere ammirato o scacciato.
Tratto da: “Il bambino nascosto” di A. Marcoli, Ed. Morgana
RVS (conduttore Radio Voce Speranza): effettivamente ne conosciamo tanti di cuccioli così, io sono stato un insegnante ed ho avuto tali esperienze. Non è semplice gestire questi bambini, la cosa più agevole è reprimere ma non è comunque così facile.
GT (dott. Giuseppe Tomai): anche perché la repressione crea una reazione opposta, è una sfida che viene continuamente rinforzata.
RVS: nella favola risulta evidente che questo atteggiamento è frutto non di cattiveria ma di sofferenza.
MEC (Counselor Maria Elena Cicali): sì, la fiaba introduce un tema ricorrente, chi di noi non ha incontrato bambini con quel tipo di situazione? Ci sono i bambini che fanno i cattivi, quelli che fanno dispetti, quelli che dicono sempre di no ed amano infastidire. Sono quelli etichettati come “cattivi”. Questa favola ci aiuta ad aprire gli occhi: dobbiamo comprendere che dietro un messaggio di questo tipo c’è una sofferenza originata da un bisogno non riconosciuto, prevalentemente nell’ambito familiare. Il bambino si sente rifiutato, messo da parte e mette in atto una sua modalità di comportamento che è quella di essere al centro dell’attenzione, vuole esserci, vuole che gli altri lo vedano anche a costo di ottenere reazioni negative.
RVS: non è un processo consapevole questo?
GT: no, è una modalità che, al momento, il bambino individua per confermare il fatto che esiste.
RVS: che si deve fare in questa situazione, è possibile il recupero?
MEC: certamente ma non ci sono soluzioni magiche, ogni bambino è unico così come ogni genitore. Occorre vedere caso per caso ma comunque è innanzitutto importante sapere che dietro un bambino difficile c’è un messaggio di sofferenza. Sapere ciò è il primo passo per trovare una giusta strategia.
RVS: gli insegnanti conoscono tutto ciò?
GT: da un punto di vista di concerto molti lo sanno. Tuttavia, i bambini difficili, ci mettono in grande difficoltà, sappiamo che dobbiamo ascoltarli perché se reagiamo immediatamente non c’è sbocco. Per un insegnante, date anche le dinamiche di gruppo nella scolaresca, diventa veramente complicato gestire emotività interna e cognizione di causa.
RVS: qualcuno dice che queste situazioni, con il tempo, si risolvono. È così?
GT: non è sempre vero, ci può essere una radicalizzazione di queste reazioni a causa di un sentimento di umiliazione e pressione esterna. Se anche apparentemente possono sembrare in remissione, possono riesplodere in fase adolescenziale o in altre modalità esistenziali di disadattamento perché avviene una sorta di processo identificatorio in negativo, cioè “io sono questo”.
RVS: può essere la strada per un percorso delinquenziale?
GT: estremizzando sì, il bambino difficile, potenzialmente, va verso il disadattamento quindi verso vie pericolose.
RVS: in tanti adulti è palese che abbiano sofferto e che non hanno risolto completamente i loro problemi.
MEC: perché non è stato individuato e poi letto il loro malessere, in età infantile.
RVS: certamente siamo tutti molto complessi ma mi sembra di capire che c’è una flessibilità su cui agire per recuperare situazioni difficili.
GT: certo, posso dire che i bambini nelle scuole che mi hanno fatto più faticare, sono quelli che mi hanno dato tanto di più in termini di coinvolgimento.
RVS: per i genitori che ci stanno ascoltando e che magari riconoscono nei loro figli questi tratti un po’ da bambini difficili, che consigli si possono dare e a chi ci si può rivolgere?
MEC: intanto i genitori dovrebbero creare dei momenti di intimità e condivisione vera con i bambini perché il loro malessere nasce a causa della sofferenza di non essere riconosciuti. D’altronde ciò capita per la vita che facciamo, perché magari abbiamo poco tempo o siamo troppo stanchi e quindi già il creare momenti di condivisione, anche brevi, permette l’affermarsi di un clima affettivo di cui il bambino ha bisogno. In seguito occorre, caso per caso, analizzare la situazione e se si sente il bisogno di un professionista ci si può rivolgere anche ad un couselor.
GT: la figura del counselor può dare, da un punto di vista psicologico e pedagogico, una mano anche in chiave preventiva.