FAVOLE PER GENITORI – ESTRAPOLATE DAI LIBRI DI ALBA MARCOLI ADATTATE DALLA DR.SSA MARIAELENA CICALI (COUNSELOR FAMIGLIARE )
Nel bosco delle sette querce c’era un fiume che arrivava fino al mare, molto rispettato e saggio perché molto vecchio e sapeva tante cose. Fu così che si accorse che nel bosco c’era un cucciolo che veniva sempre a guardarlo con malinconia, verso il tramonto; poi arrivavano anche i suoi genitori ed i suoi fratelli, con i quali andava via.
Un giorno, per scherzo, il fiume lo schizzò, il cucciolo gli chiese perché lo avesse fatto e questi rispose che voleva sapere perché il piccolo avesse sempre quell’aria malinconica. Il cucciolo raccontò che era bravo a scuola, molto obbediente e andava d’accordo con tutti ma era comunque triste, si sentiva sempre solo. Il fiume capì che quel cucciolo era molto bravo e benvoluto da tutti ma non riusciva a fare una cosa: non sapeva dire di no. Gli venne così un’idea, aspettò che arrivasse tutta la sua famiglia e, quando i cuccioli si allontanarono per giocare, cominciò a parlare con i genitori. Loro erano molto contenti del loro piccolo, sempre bravo e sorridente, e credevano che fosse contento; il fiume gli fece notare che certi cuccioli fanno di tutto per passare inosservati o per essere uguali a come gli altri lo vorrebbero, fanno di tutto per non avere niente che gli possa rendere sgraditi e, quindi, meno accettati. Un pensiero del genere non era mai venuto in mente ai genitori e, insieme all’aiuto del fiume, si resero conto che il cucciolo andava aiutato a sentirsi più sicuro. Decisero così di far fare al piccolo un viaggio da solo: una sera, quando il fiume lo vide arrivare, gli propose di fare un viaggio insieme per sperimentare e scoprire cosa avrebbe potuto fare da solo, senza il bisogno dei grandi. Il cucciolo, interdetto, chiese il motivo di tale proposta del fiume e questi rispose che per imparare a vivere, a volte, è necessario fare un viaggio da soli. Così, il cucciolo, partì seguendo la corrente del fiume. Egli dovette imparare molte cose nuove, trovarsi il cibo, difendersi dai predatori, trovarsi un rifugio per la notte: senza accorgersene stava diventando forte e saggio come il fiume, finché un giorno arrivarono insieme ad un altopiano dal quale vide il mare.
A quel punto il fiume lo salutò, disse che da quel momento cessava di essere fiume per entrare in un altro più grande e scorrere fino al mare; infine chiese cucciolo se fosse anche lui lo stesso di prima e questi rispose, rendendosi conto di essere diventato molto più forte, che adesso sapeva dire di no e poteva tornare nel bosco senza la paura di essere abbandonato e di restare solo.
Tratto da: “Il bambino nascosto” di A. Marcoli
Discussione:
RVS (conduttore Radio Voce Speranza): nella fiaba di quest’oggi abbiamo un cucciolo che, apparentemente, sembra perfetto. In realtà anche questo è un problema?
MEC (Counselor Maria Elena Cicali): nei casi in cui questo atteggiamento è protratto nel tempo, può nascondere un malessere: ci sono bambini che sono buoni e bravi, ubbidienti, gentili con gli altri e sono il sogno di tutti genitori ma ci possono essere casi in cui essi provano una solitudine interiore. Il problema è che non la manifestano e, tali comportamenti, passano inosservati. Spesso, in questo modo, i bambini si adattano a tutto quello che la realtà gli chiede.
RVS: può essere il temperamento passivo che porta un bambino a fare ciò?
GT (dott. Giuseppe Tomai): non necessariamente, certo il temperamento ha una sua rilevanza ma, in realtà, qui siamo in presenza di un adattamento eccessivo alle aspettative dell’ambiente; il bambino crede di essere approvato solo se rispetta determinate regole e pensieri.
RVS: ma non è così anche per gli adulti? Quand’è che diventa eccessivo questo comportamento?
MEC: quando il bambino attua questa modalità a scapito della sua istintività, reprimendosi. Il bambino deve attraversare anche le fasi di capriccio e di opposizione.
RVS: qual è il rischio? Avremo un adulto insicuro o che a quarant’anni molla tutto?
GT: in un certo senso, perché egli si potrebbe accorgere di non essere mai stato se stesso. È evidente che un aspetto di adattamento è importante ma ciò va messo in dialettica anche con il nostro mondo intero.
RVS: come si fa a capire quando un bambino ha un atteggiamento eccessivamente “obbediente”?
GT: il problema è proprio non riuscire a individuare il problema. Mentre nel bambino difficile il segnale è forte, è una sirena che arriva, qui non ci sono luci rosse che allarmano. Occorre sensibilizzarsi come adulti, come insegnanti, come genitori ad individuare, anche nei bambini adattati e silenziosi, una qualche possibilità di problematica che potrebbero vivere.
RVS: sono casi frequenti?
GT: sono molti e spesso complementari fra loro: accade che un fratello diventi “ribelle” mentre un altro sia particolarmente adattato e silenzioso, quasi un sostegno per la famiglia che esaurisce tutte le energie con il bambino difficile. La sua sofferenza si vedrà nel lungo termine, non nel momento.
RVS: qualche consiglio per un genitore che si sta interrogando sull’argomento?
GT: secondo me bisogna allarmarsi un pochino, domandarsi se nostro figlio esprime la sua opinione, si differenzia da noi e sollecitarlo a venire fuori in questo senso. Ogni cultura si sviluppa da un contrasto, da una differenza altrimenti mortifica e diventa pericolosa.
MEC: occorre che i genitori si facciano queste domande, non dare per scontato che è buono e che va tutto bene: la spinta vitale del bambino potrebbe essere, altresì, sopita perché questo adattamento gli impedisce di esprimerla.
RVS: ci sono culture che facilitano o ostacolano questa autonomia. Mi sembra che nel passato si auspicasse bambini di questo tipo.
GT: certo, si richiedevano figli che fossero fotocopie dei genitori e che fossero l’interiorizzazione totale del mondo valoriale degli adulti. Non era prevista la possibilità di conflitto. La società patriarcale è molto legata alla trasmissione di detti valori, altrimenti si pensa ad un tradimento e quindi c’è l’allontanamento dalla comunità.
RVS: la cosa subdola che non siamo più una società patriarcale ma possono continuare ad esistere bambini che non sanno dire di no.
MEC: è proprio il concetto stesso di educazione che va rivisto, nel senso che la famiglia e la scuola pensano di educare trasmettendo dei contenuti, come si faceva a livello patriarcale, ma educare significa tirare fuori, rendere manifesto ciò che è dentro la persona. Il bambino troppo buono non ci è riuscito.