FAVOLE PER GENITORI – ESTRAPOLATE DAI LIBRI DI ALBA MARCOLI ADATTATE DALLA DR.SSA MARIAELENA CICALI (COUNSELOR FAMIGLIARE )
Tanto tempo fa in una foresta lontana nacque un cucciolo nella tana di mamma e papà tigre. Man mano che il tigrotto cresceva, cominciò ad affezionarsi alla sua tana, così sicura è ben protetta da tutti i pericoli, compresa la minaccia dei cacciatori di tigri. Il cucciolo non doveva preoccuparsi, c’erano sempre la sua mamma e il suo papà che provvedevano a lui e a tutto quello che poteva servirgli per crescere e vivere nella foresta. Mamma tigre andava a caccia per procurare il cibo anche quando il papà era via, a caccia in territori lontani. Il tigrotto poteva essere sempre sicuro che la madre sarebbe tornata puntuale, anche se a volte con più cibo, a volte con meno. Quello che il cucciolo non sapeva è che, tuttavia, quando si va a caccia nella foresta qualcosa può sempre andare storto. Fu così che un giorno, proprio mentre papà era appena partito per un lontanissimo territorio, il tigrotto cominciò ad agitarsi nella tana, in previsione del ritorno della madre; il cucciolo era affamato e cominciò ad arrabbiarsi per essere rimasto solo, si mise così ad aspettare vicino all’ingresso sino ad addormentarsi, sfinito dalla fame e dall’attesa. Mamma tigre non tornava. L’indomani il cucciolo continuò ad attendere per tutta la giornata, davanti all’ingresso della tana. Passarono i giorni, mamma tigre non tornava perché era stata uccisa dai cacciatori col fucile ma il cucciolo non lo sapeva, questi rimaneva in attesa nella tana, quasi morente per la fame, finché un giorno passò di lì una vecchia tigre. Questa, vedendo il cucciolo che si lasciava morire, divise il suo magro bottino della giornata e rimase a fargli compagnia. Quando fu notte lo riportò dentro la tana e rimase a scaldarlo, la vecchia tigre restò con il cucciolo fino a che non tornò il padre. Lentamente il cucciolo si riprese e, quando fu tempo, suo papàgli insegnò le tecniche della caccia fino a che anche lui non divenne grande, forte ed abile cacciatore. Col tempo la madre divenne un buon ricordo, lo accompagnava sempre, di giorno e di notte e nessuno poteva portarglielo più via.
Tratto da: “Il bambino lasciato solo” di A. Marcoli, Ed. Mondadori
Discussione:
RVS (conduttore Radio Voce Speranza): questa fiaba parla di una separazione, qual è l’insegnamento che noi possiamo trarre?
GT (dott. Giuseppe Tomai): la morte è un fatto della vita, purtroppo nella nostra cultura certe tragedie vengono sempre più o spettacolarizzate, o relegate in un ambito asettico, in ogni caso sembra che non ci appartengono, c’è molta lontananza ed anche i bambini, pur con il dovuto filtro, non vengono messi nel processo del lutto come dovrebbero. Rispetto a un evento di questo genere c’è un dolore molto forte, se il dolore non viene espresso diventa un cancro esistenziale fortissimo, un dolore espresso, un dolore necessario o inevitabile è importante che sia tirato fuori perché questa è una terapia per attenuare questo vuoto.
RVS: ci sono famiglie in cui è morto uno dei genitori e l’altro non parla mai con i figli di quello che è successo.
GT: è un meccanismo di negazione, comprensibile, che serve a proteggere dal contatto con la sofferenza però, chiaramente, diventa limitante e dannoso per la psiche del bambino e del futuro adulto. Spesso in terapia occorre ritornare a quei momenti lì e far esprimere, all’adulto che ha vissuto una tragedia, quel dolore.
MEC (counselor Maria Elena Cicali): negare consiste nel congelare un dolore e ritrovarsi da adulti ad accorgerci che era rimasto lì, depositato.
GT: congelare significa mettere a disposizione un quantitativo enorme di energia per mantenerlo così, privandocene per andare nel mondo a vivere.
MEC: tale situazione può portare a far esplodere il dolore oppure ad uno stato di torpore, di depressione, di inappetenza verso la vita: l’energia è tutta usata per congelare il dolore e non riusciamo più a vivere altre emozioni.
RVS: qualche consiglio per dei genitori che si trovano in situazioni tristi da una parte ma a cui si richiede un’assunzione di responsabilità nei confronti dei bambini che vivono il lutto.
GT: occorre far presente la situazione al bambino, anche se questo, per difesa, fa finta di niente. Occorre regolare il lutto ma permettere al bambino di esprimersi per vivere quella cosa, seppur dolorosa. Noi viviamo le emozioni positive se si possono esprimere anche quelle negative, altrimenti vengono bloccate. Per stare bene nella vita questo è un passaggio fondamentale, altrimenti, rischiamo anche di creare gran confusione nei bambini che si trovano nella situazione in cui mancano delle persone ma non sanno perché.
RVS: ci sono anche le bugie che a volte vengono utilizzate.
MEC: capita che si tenda, per evitare la sofferenza dei bambini, a minimizzare il fatto accaduto o razionalizzarlo. Lì per lì può funzionare ma poi questo dolore rimane, invece a volte può essere utile far esprimere il dolore al bambino anche insieme a noi, piangere insieme perché non c’è niente di male. Spesso si ha paura anche di questo, sia nella prima fase fortemente traumatica che nella seconda in cui si cade in uno stato depressivo ed occorre leccarsi le ferite: qui il bambino ha bisogno di stare col proprio dolore, viverlo sino ad esaurire quello che è successo per poi trovare un nuovo equilibrio, un assestamento.
GT: ricordiamoci che il dolore, nella migliori delle possibilità, viene espresso con con la commozione e con il pianto ma può essere espresso anche con la rabbia. Ci sono bambini che si esprimono con rabbia estrema per la morte di qualcuno, questo non ci deve spaventare assolutamente: occorre comprendere quel comportamento fino a che non arriverà il momento dell’espressione “più pura” del sentimento.
RVS: il problema del lutto, per il bambino, si sovrappone a quella dell’abbandono?
MEC: la paura di rimanere soli è molto presente, per questo in situazioni di perdita di una persona cara occorre stare molto vicino al bambino, fargli sentire la nostra presenza e soprattutto il nostro calore, il nostro affetto. Una volta superata la fase traumatica e ci si riaffaccia alla vita è bene alimentare un buon ricordo nel bambino della persona scomparsa.