FAVOLE PER GENITORI – ESTRAPOLATE DAI LIBRI DI ALBA MARCOLI ADATTATE DALLA DR.SSA MARIAELENA CICALI (COUNSELOR FAMIGLIARE )
C’era una volta, su un’isola, un piccolo regno dove vivevano un re e una regina che avevano perduto il loro vecchio castello e si erano ritirati lì, insieme alla loro bambina. Ogni volta che la principessina Matilde vedeva glii bambini giocare fuori dal suo giardino provava una grande invidia perché lei, anche se non abitava più nel castello, non poteva andare in giro sulle strade come tutti gli altri. Perciò la principessina andava dai genitori a chiedere il permesso di far entrare gli altri bambini nel giardino ma loro le rispondevano sempre di no, perchè non si fidavano degli altri.
Matilde, così, crebbe sola e arrabbiata. Un giorno andò dal re a protestare per tutto ciò ma questi gli rispose che lei non era come tutti gli altri e, perciò, non poteva giocare per la strada. Matilde continuava tuttavia a piangere ed il re, pensando di poterle sollevare il morale, cominciò a prenderla in giro per questa sua richiesta ma la principessina si ritirò in un angolo ancora più addolorata ed offesa.
Un giorno, tutto questo dolore e tutta questa mortificazione che Matilde portava dentro di sé, arrivarono a un punto tale che il suo piccolo corpo non poteva più trattenerli: la principessina fu presa dalla rabbia ed andò dal re pretendendo delle scuse per le offese subite. Il padre si rifiutò e la principessina cominciò a pensare di non valere niente e, quindi, di non essere niente. Alla fine, per sopravvivere, decise di mettere a tacere le cose che dentro di lei le facevano male: prese tutte le sue emozioni e le mise in un cassetto, in un angolo del cuore e le chiuse a chiave, decidendo di andare avanti solo con i pensieri della testa, stando attenta che fossero neutri e senza emozioni. Con il tempo Matilde era diventata la principessa più ragionante del mondo, la sua testa divenne simile ad un calcolatore. Il filtro della testa le permetteva di proteggere il cuore ma, a lungo andare, le emozioni diventarono sempre più insofferenti nel rimanere chiuse e decisero di allearsi per uscire dal cassetto. La rabbia chiese alle altre emozioni di spingerla per farla uscire fuori, in modo da riuscire a scappare dal cassetto ed arrivare ai pensieri: fu così che cominciarono ad aspettare l’occasione giusta.
Matilde, che ormai era diventata grande, incontrò un principe e decise di viaggiare insieme a lui per la vita ma un giorno questi le disse una cosa diversa da quella che lei si aspettava e, sentendosi Matilde tradita ed abbandonata, permise alle emozioni di riconoscere la loro occasione. Queste si misero tutte insieme dietro alla rabbia, si trasformarono in furore e riuscirono ad arrivare ai pensieri, la principessa provò a fermarle invano fino a che si decise ad ascoltarle: ogni volta che sentiva arrivare la rabbia Matilde si metteva ad aspettare per capire quali emozioni le stavano dietro.
Nel corso del tempo imparò a riconoscere il dolore, la solitudine, la gelosia e tutte le altre emozioni che aveva provato da bambina, sino a comprendere che sarebbe valsa la pena di passare attraverso la tempesta delle emozioni perché forse, questo, è il prezzo da pagare per conquistare il mondo fuori di noi, il diritto ad abitarci e il permesso di vivere ed esistere in un mondo vero e reale.
Tratto da: “Il bambino arrabbiato” di A. Marcoli, Ed Mondadori
Discussione:
RVS (conduttore Radio Voce Speranza): queste ferite non cicatrizzate, di cui si parla nella fiaba, sono provocate da un’umiliazione ricevuta.
MEC (counselor Maria Elena Cicali): la fiaba tratta dell’ironia, fuori luogo, degli adulti che i bambini non capiscono e che, vedendo gli altri adulti ridere, provano varie emozioni tra cui vergogna ed umiliazione. In genere l’intento è quello di sdrammatizzare un evento di vita quotidiano o un aspetto del figlio.
RVS: quand’è che una ferita diventa tale e non si può più cicatrizzare?
GT (dott. Giuseppe Tomai): in caso di episodi di una certa intensità, soprattutto in presenza di un gruppo che rende esponenziale l’effetto dell’evento oppure in presenza di piccoli ma continui, ripetuti eventi che diventano una sorta di stile educativo.
RVS: la principessina, nella fiaba, arrivò a pensare di non valere proprio niente.
MEC: perché il padre le impediva di andare a giocare, di mischiarsi con gli altri bambini e lei si arrabbiava con il re che, di rimando, la prendeva in giro. Diciamo che la bambina si è sentita inadeguata e, arrabbiata, esigeva le scuse.
RVS: capita spesso che i bambini pretendano le scuse dai genitori?
GT: quando sono fermamente convinti di aver subito un’ingiustizia, quando percepiscono che qualcosa non è legittimo.
MEC: il genitore deve chiedere scusa non in modo formale ma prendendo coscienza, il bambino deve sentire questo e deve capire che il genitore si è messo nei suoi panni, se noi gli chiediamo scusa anche il bambino imparerà ad empattizare con gli altri.
RVS: non rischia, il bambino, di ricevere un ragionamento che è al di sopra della sua testa?
GT: dobbiamo utilizzare un linguaggio simile, a seconda dell’età del bambino.
MEC: si può chiedere scusa anche ad un bambino piccolissimo: i bambini pensano come tali ma sentono come adulti e quindi passa questa cosa, anche se le parole possono apparire poco comprese.
RVS: questo non mette in discussione l’autorevolezza dei genitori?
GT: questa è l’obiezione che pongono tanti genitori, in realtà questa è una concezione falsata del potere che non deve essere dominio e dispotismo ma deve stare nella nostra capacità di presentarsi nell’umanità nei confronti dei nostri figli e quindi anche riconoscere che possiamo sbagliare, possiamo perdere il controllo per via delle tante pressioni che dobbiamo gestirle, ciò non ci fa perdere autorità sui figli ma, anzi, fa apprezzare il fatto che ci sia stato un certo tipo di dichiarazione.
RVS: non c’è il rischio di cedere, invece, ai capricci dei bambini?
GT: bisogna distinguere: una cosa è chiedere scusa per una modalità violenta, sopra le righe con cui ci siamo rivolti al bambino, altra cosa è mantenere ferme certe regole, certi contenuti. Per esempio un divieto deve rimanere ma si può chiedere scusa se lo abbiamo imposto con un atteggiamento aggressivo.
RVS: dalla favola emerge anche un altro problema: il fatto che questi divieti e queste situazioni di tensione in cui non si chiede mai scusa, alla fine, producono una sorta di devitalizzazione sentimentale. La bambina usa solo un approccio razionale rispetto alla realtà perché ha paura delle sue emozioni.
MEC: è un tema molto importante, la bambina si è difesa sviluppando la sua funzione mentale, razionalizzando tutto e tenendo a tacere quelli che erano i suoi bisogni primari, le sue emozioni e questo continua anche nell’età adulta. Il problema è che le emozioni non sparisco e vorranno ritornare, questo potrebbe anche condurre a problemi psicofisici. Le emozioni sono il sale della vita e tenerli rinchiusi ci fa stare male.
RVS: nella favola la rabbia non viene considerata negativamente di per sé perché può essere utile per far emergere le altre emozioni.
GT: è importante distinguere fra la rabbia come emozione, importante per la nostra difesa e la nostra affermazione, ed un comportamento che sfocia dalla rabbia. Sono due aspetti diversi, si può riconoscere il diritto di cittadinanza all’emozione rabbia ma si deve impedire di fare del male, di rovinare delle cose. Il compito educativo è proprio questo: riconoscere la legittimità dell’emozione ma impedire che sfoci in un’azione pericolosa. Purtroppo nel nostro sistema di credenze uniamo emozione e comportamento rabbioso ma sono due cose diverse. I bambini agiscono sentendo l’emozione, siamo noi che dobbiamo allenarli ad un’espressione adeguata della rabbia rispetto all’ambiente.
RVS: sono migliaia di anni che andiamo avanti a forza di guerra, si riesce veramente a scindere la rabbia dall’azione?
GT: è la sfida dell’educazione, dei nostri laboratori, dei nostri spazi familiari, scolastici, sociali dove la legittimiamo ma fermiamo il comportamento violento o lo riconosciamo come tale.
RVS: in conclusione, tutti noi abbiamo delle ferite non cicatrizzate?
MEC: sì, possono essere più o meno cicatrizzate, dipende dalla nostra storia ma qualche ferita che l’abbiamo tutti.
GT: tutti noi abbiamo vissuto, chiaramente, in ambienti non perfetti come noi non lo siamo per i nostri figli.
MEC: questo indipendentemente dalla buona fede dei nostri genitori: loro possono essere stati i migliori del mondo ma noi, magari, volevamo un’altra cosa e comunque quella per noi rimane una ferita. Non occorre aver subito abusi o maltrattamenti per avere delle ferite, purtroppo qualcuna anche piccola ce la portiamo tutti.
RVS: è utile cercare aiuto anche dagli esperti?
GT: credo di sì, è molto soggettivo ma uno spazio neutro, in cui si può riflettere con più serenità e dare voce a quella ferita credo che possa favorire un’evoluzione nella nostra vita: le cicatrici rimangono ma possono diventare interessanti parti della nostra storia.