PASSI TRATTI DA LIBRI . Come si affronta un momento di crisi
Zeno,quindici anni, frequenta il liceo ed ha un fratello di dieci. I genitori sono impiegati in un ufficio pubblico, solita vita e solito tran tran. Il problema è che in casa si comunica poco. A pranzo i due fratelli mangiano da soli, quando tornano da scuola riscaldano il cibo che la mamma preparato loro la sera prima. La famiglia si riunisce solo di sera, con il sottofondo della tv che propone il solito quiz; tra genitori e figli poche parole, poi i tre maschi si ritirano nelle loro stanze per guardare la televisione e la donna rimane da sola ad affrontare le faccende domestiche. Una vita senza scossoni, molto tranquilla, tanto da sembrare persino monotona e spenta. Finito l’orario d’ufficio il padre non mostra particolari interessi, avrebbe tempo ma non coltiva nessun hobby. Zeno mostra alcuni segnali preoccupanti, risponde male, colleziona insufficienze e nasconde le note dei professori, allaga i bagni della scuola, rompe i vetri e beve: a questo punto i genitori lo portano dallo specialista al fine di capire i motivi di quella insofferenza.
Tratto da: “Per fare un albero ci vuole un fiore” di Ferrara Castellarin, CR edizioni 2010
Discussione:
RVS (conduttore Radio Voce Speranza): mettiamo che questi genitori avessero portato da te Zeno. Cosa gli racconti?
GT (dott. Giuseppe Tomai): è una situazione molto frequente: per fortuna sempre più spesso il genitore chiede aiuto, riconoscere i segnali che limitano la vita è il primo passo importante. Il quadro mi sembra abbastanza chiaro, laddove il figlio non si sente riconosciuto e lo scambio umano viene a mancare, la famiglia diventa una serie di solitudini che si muovono nella quotidianità. Questo è forse l’aspetto più drammatico che un figlio vive, anche i genitori ne soffrono ma la risposta a questa difficoltà di comunicazione è chiudersi, spesso anche fisicamente, creando una frattura pazzesca nel sistema familiare. Nonostante sia fisiologico che durante l’adolescenza la maggior parte degli scambi avvengano con il gruppo dei pari, per creare anche una propria autonomia, ciò non deve comportare che ci sia un muro totale con i genitori: questo diventa preoccupante ed è un segnale di solitudine che non è tollerabile a livello psichico e, perciò, il ragazzo manda dei segnali, come quelli di Zeno.
RVS: in Inghilterra sono stati arrestati migliaia di ragazzi per avere commesso alcuni fatti socialmente dannosi. Oltretutto ci sono tantissimi adolescenti che bevono.
GT: questi ragazzi si sono persi, perché ci si perde? Perché acquisiamo meno, dentro di noi, quella che viene detta una base sicura, un riferimento interno di criteri, di conoscenza del mondo, di bene contrapposto al male, di evolutivo contrapposto a distruttivo. L’essere umano ha bisogno comunque di riferimenti e, non avendo una base interna, ci si appoggia a riferimenti negativi del gruppo, anche se questo pratica attività distruttive.
RVS: vediamo come va a finire la storia di Zeno.
Il neuropsichiatra capisce che il ragazzo non aveva mai visto riconosciuta la sua maturità. Così il ragazzo aveva cercato nella trasgressione il metodo di comunicazione più efficace con i genitori. Di fronte a questa situazione il padre riconosce di aver involontariamente replicato un modello educativo ricevuto quarant’anni prima e da lui stesso avversato all’epoca.
RVS: il primo tema è che la trasgressione è un canale di comunicazione.
GT: è un segnale, nella stagnante solitudine della famiglia stava covando una sofferenza perché mancava la comunicazione di cui nutrirsi. Non sempre si può pretendere che i ragazzi ci chiedano le cose chiaramente, normalmente bisogna affidarsi ai segnali.
RVS: questa ipnosi familiare è in qualche modo favorita anche dal televisore?
GT: il potere del mezzo televisivo è stato per anni e anni sottovalutato, esso irrompe nelle famiglie catalizzando l’attenzione, ipnotizza perché viene messa in atto una passività. Quando siamo più addormentati sentiamo meno la fatica, l’impulso, la sofferenza e l’impegno: è una sorta di anestesia mediatica favorita dalla normale tendenza del nostro corpo ad evitare il dolore.
RVS: l’altro tema è il ripiegamento di un modello educativo subito dal padre di Zeno.
GT: se non c’è un processo elaborativo e riflessivo, siccome le identificazioni sono inconsce, accade involontariamente tutto ciò.
RVS: forse la madre avrebbe potuto portare un apporto migliorativo di questa situazione?
GT: diciamo che sono stati entrambi complici di questa apatia che si è diffusa.
Fortunatamente basta poco per recuperare il rapporto padre figlio e per recuperare la motivazione di Zeno, nonché l’armonia familiare. Questo è stato possibile dedicandosi alla coltivazione di piante e ortaggi nel giardino di casa; il padre avrebbe sempre voluto farlo ma temeva l’ironia del figlio. Invece quando l’uomo molla i pudori e propone ciò a Zeno, il ragazzo accetta con entusiasmo e si butta a capofitto nella verde avventura. Il padre aveva sempre desiderato farlo, il figlio si sente rivalutato e collabora volentieri perché si sente riconosciuto utile nella famiglia. Così Zeno, come Pinocchio, che da papà Geppetto aveva ricevuto un corpo di legno orfano di emozioni, lascia i vari lucignoli che lo avevano ammaliato e ritrova la figura paterna come modello di identificazione.
GT: nella mia esperienza di consulenza è molto frequente questo, soprattutto per i padri con i figli maschi, ricontattare il figlio e sperimentare spazi comuni serve sia al padre che al figlio, qualunque sia l’attività che li lega. Un momento di crisi ha sempre due facce, spesso vediamo la faccia distruttivo ma l’altra è quella del segnale: è un tentativo di crescita che se si coglie può essere una grande opportunità per tutto il sistema familiare. Il dolore della solitudine è drammatico ed è difficile che non ci sia un qualche tipo di attività che si possa cogliere per uscirne.