Ricordi ormai lontani…un prato fiorito, una piccola distesa verde coperta dappertutto di mille macchie gialle e bianche, un leggero vento caldo accarezza delicatamente il mio volto, Giulia, mia figlia d tre anni, vicina a me : in continuazione il suo sguardo si muove ovunque, ovunque ci sia un piccolo movimento, ovunque senta un suono, ovunque ci sia una farfalla o un insetto, tutto è interessante, tutto è degno di attenzione, tutto intorno è movimento, pieno di vita e quindi essere osservato con curiosità e ammirazione, per essere ascoltato nelle sue qualità musicali, per essere toccato e annusato.
E’ sorprendente vedere come un bambino riesca a porgere l’attenzione, a meravigliarsi di volta in volta di quello che c’è nell’ambiente intorno a lui, su di un fiore, un sasso, un suono, alla terra tra le mani,
Ricordi… Michele, mio figlio di quattro anni, sta “lavorando” sull’ equilibrio…: si sta arrampicando su di un muretto, ed è la prima volta. Sta allungando le braccia, sta afferrando con le mani delle sporgenze e prova a tirarsi su. Scopre che facendo pressione su tutto il braccio e piegandolo in quella direzione il corpo si solleva un po’, tanto da permettergli di alzare una gamba e appoggiarla sul muro…ma l’altro piede cade giù, tutto il peso del corpo poggia su di un braccio e cade giù, giù…per terra. Lo osservo, senza aiutarlo, e lui riprova e riprova. E’ passato del tempo e lui è ancora lì a provare. Ogni tanto si gira e mi guarda ma io faccio finta di leggere, è la sua sperimentazione. Quando avrà imparato a dosare il complesso meccanismo di forze, pesi e contropesi, potrà finalmente godere il frutto del suo sforzo e della sua costanza.
La curiosità dei bambini per le cose del mondo, il loro essere in contatto con quell’impulso appetitivo-esplorativo che gli spinge verso l’ambiente, verso cose nuove, che gli spinge a manipolare, osservare, capire, è quell’ energia che da adulti ci permette di utilizzare le risorse consce ed inconsce, per affrontare e assimilare sempre nuovi apprendimenti, sia in ambito lavorativo sia nella sfera relazionale-affettiva. Ma il processo di crescita, fin dalla nascita, non si può identificare con un percorso rettilineo, La crescita, pur spingendo ad andare sempre “avanti” (sollecita a realizzare quello che uno è, come una pianta vuole realizzarsi come pianta), procede con una traettoria a zig-zag, come procedono le navi a vela quando hanno il vento contrario (così dice un mio amico esperto ). Il cumulo di esperienze che facciamo in questo “navigare” nell’ esistenza, sempre verso nuovi apprendimenti ( alcuni consapevoli altri meno ) , vivendo una molteplicità di emozioni, affrontando vicende piacevoli e dolorose, “costruisce” il nostro specifico “modello del mondo”, il nostro modo specifico di stare con gli altri e di interpretare i fenomeni che accadono dentro di noi e intorno a noi. Il nostro sentirsi “IO” è un sistema articolato e complesso di simboli. La maggioranza di noi rimane “imprigionato” dalle sue stesse convinzioni, dalla rete di significati che ci fa dire “sono fatto così”, come qualcosa di immutabile ed eterno; anche quando idee e percezioni non sono più funzionali alla crescita, all’espressione delle nostre potenzialità creative, al dispiegarsi della nostra capacità di amare. Con il tempo, un sintomo prevale su tutti, il piacere di vivere , di provare emozioni, di “lasciarsi prendere” dal fascino delle cose da scoprire e capire, dal desiderare, amare e costruire.
Noi non siamo impotenti, bloccati o rigidi ci rendiamo impotenti, bloccati o rigidi ! Quindi il processo di ricerca inizia con la domanda “cosa ci rende impotenti, bloccati o rigidi? “. Il nostro compito è quello di evolvere, stare dalla parte della vita, e la vita è movimento ( anche nei sassi, ci insegnano gli scienziati, c’è movimento ) .
Se iniziamo a percepire, pensare , sentire e credere che il nostro “Io” non si può cambiare allora iniziano i guai, il processo vitale si arresta e ci conduce ad una morte, fisica, psichica, sociale. “ Di fronte alle cose che sembrano ferme e immutabili , si diventa passivi, succubi, schiavi . In questo modo viene occultata la consapevolezza del proprio fare, del proprio contributo – ad esempio l’ autosvalutazione – al creare o al mantenere le cose in questo modo. Insieme al proprio fare, viene perduto il proprio potere personale” (M. Scardovelli) .
Si continuano a perpetuare comportamenti e atteggiamenti distruttivi o improduttivi con sempre maggiore difficoltà a cambiare strada e sperimentare nuovi tipi di azione.
Freud parlava di “coazione a ripetere” : la tendenza dell’essere umano a mantenere comportamenti che lo porteranno a vivere situazioni spiacevoli e dolorose.
Quanti di noi fanno cose da anni pur sapendo che è negativo e causa di sofferenze? Frasi che non lasciano speranza in un cambiamento: “ “L’ansia ce l’ho fin da piccolo”, “ Non sono mai riuscito ad avere rapporti sessuali soddisfacenti “ , “ Da molti anni sono giù, non mi va di impegnarmi in una relazione tanto so che non piaccio!”, “ La mia vita è sempre stata un inferno..” . E tutto questo rimarrà, nei secoli, amen
Il vero virus che affossa la Vita non è percepire le difficoltà, sentire disagi, conflitti o sofferenza. Come possiamo non sentire mal-essere! Esso è generato da un sistema educativo dove si annidia la violenza prevaricatrice del potere-dominio che va a colpire l’essenza dell’essere umano, fondamentalmente buona, curiosa, vitale .
II vero virus è quello che ci annebbia, che ci fa perdere la speranza in un cambiamento e ci impedisce di riconoscere certi meccanismi violenti e perversi dentro di noi e fuori da noi.
La psicoterapia si rivolge a coloro che soffrono, a coloro che hanno una sensazione di disagio e di malessere, a coloro che si sentono incastrati, insoddisfatti, avviluppati da sintomi che si riferiscono a problematiche sia affettivo -emozionali come depressione, ansia, angoscia, vuoto, relazioni insoddisfacenti, che a problematiche psicosomatiche come disturbi gastrointestinali, asma, etc. Ma questo non è il requisito principale per accedere con un discreto margine di successo ad una psicoterapia. La psicoterapia non è nata per eliminare solo sintomi fastidiosi e riportare il soggetto ad una sorta di “normalità” senza la sua partecipazione. Per questo compito ci sono una varietà di terapie, tra tutte quelle farmacologiche.
La psicoterapia è l’arte del cambiamento, l’arte dell’ascolto profondo, l’arte del “conosci te stesso” di socratica memoria ( una buona parte verrà messa nel cestino dei rifiuti e debitamente riciclata ), l’arte di amare. Yung scriveva che allo psicoterapeuta è richiesta una sensibilità che si avvicina a quella dell’artista : “Maneggiare il materiale psichico richiede il massimo tatto e una sensibilità prossima a quella degli artisti”.
Un requisito che io valuto fondamentale per chi decide di intraprendere una psicoterapia è ( anche lieve, anche ad intermittenza,) un soffio di speranza in un cambiamento dato il mio attivo contributo ( responsabilità ).
Quando siamo afflitti da una o più difficoltà ci sentiamo incastrati (e lo siamo veramente !) in un meccanismo, in un circolo vizioso da cui è difficile vedere la via d’uscita, intravedere una luce in fondo al tunnel. Se, banalmente, pensiamo ad un comportamento o ad una reazione che non ci piace ma che automaticamente ritorna , non è sufficiente dirsi “non lo devo fare”, “non posso reagire sempre così”, “da domani cercherò di non deprimermi più”. Non dico che non possa riuscire, se riesce significa che la spinta al cambiamento era forte e profonda tale da rimuovere gli ostacoli inconsci (convinzioni, vissuti,..) che ancoravano quel comportamento e quella reazione indesiderata. Normalmente, e nella maggioranza dei casi, la considerazione di non volerci più “cascare” si ha dopo che è avvenuto il comportamento/reazione spiacevole, ma questo, regolarmente si ripresenterà spontaneamente senza che si abbia la possibilità di pensarci su, semplicemente ci ritroviamo ad agire quel comportamento / reazione. Allora all’ inizio ci si faranno belle promesse, poi visto che non funzionano, ci si deprime perchè non funzionano, così stiamo male sia per la situazione spiacevole che malgrado noi viviamo, sia perchè abbiamo la sensazione di non controllarla, di non poterci fare niente.
Non si può cambiare qualcosa quando si sta agendo, e spesso, è difficile farlo da soli.
Ancora, nonostante la notevole diffusione della psicologia, molte persone trovano difficile rivolgersi ad un terapeuta perchè non si credono pazze o non credono che il loro sia un “problema psicologico”. Per la percezione del terapeuta come “curatore di pazzi” molta responsabilità va attribuita agli stessi “esperti”; con il loro insistere sulla diagnosi, sulla etichettatura del disagio e sull’idea del “problema personale” di cui sono portatrici solo poche sfortunate persone, mentre il resto dell’umanità vive nella gioia e nella felicità in un mondo dove amore, compassione, onestà, ascolto sono qualità diffuse e generalizzate.
Come il sintomo di una parte del corpo è espressione di un mal funzionamento di tutto l’organismo così il disagio di una persona è espressione di un sistema di relazioni familiari disfunzionale e ancora più avanti di una cultura educativa non attenta ai bisogni profondi dell’essere umano.
Un terapeuta, che si ispira all’etica umanistica, considera la persona che sta male come espressione di una “ribellione” rispetto ad una società malata dove i virus del potere-dominio sono diffusi e infestano le relazioni fin dalle sue origini. Il suo intervento viene misurato sul reale cambiamento che avviene nella persona, aiutandola ad uscire e a rompere il circolo vizioso che l’ha portata a quello stato di sofferenza, e sull’elevazione della sua consapevolezza su come elementi tossici dell’ambiente-mondo sono stati interiorizzati nel suo ambiente-persona.
Il terapeuta , in collaborazione con il paziente, sviluppa uno spazio interpersonale (la seduta terapeutica) dove verrà individuato il blocco, elaborati i meccanismi che perpetuano la situazioni di crisi e sperimentato nuove risposte e nuove scelte.
Nella psicoterapia ad orientamento umanistico, in particolare, viene valorizzata l’esperienza, i vissuti e la storia del paziente per aiutarlo a ri-attivare dentro di lui risorse e capacità creative represse.
Scriveva il filosofo americano Emerson “ l’ uomo è soltanto una metà di se stesso, l’altra metà è la sua espressione”.
La seduta terapeutica è un laboratorio esperienziale ad alto contenuto emotivo in cui, sfruttando i segnali di crisi, si cerca di capire l’origine del malessere immettendo e ampliando le possibilità esistenziali del soggetto. Il paziente è un “Tu” con piena responsabilità di cosa desidera affrontare durante una seduta; il terapeuta lo aiuta a vivere, capire e “ristrutturare” episodi, momenti o atteggiamenti incompleti, conflittuali e limitanti. Se la volontà e/o la spinta dell’inconscio del paziente lo consentono, si può creare il necessario stato di coscienza per andare al momento in cui il disturbo è cominciato ad organizzarsi, è il processo di regressione. Questo permette al soggetto di “tornare indietro” nel tempo e “rivivere” il trauma (episodio particolarmente significativo, molto spesso collocato al di fuori della consapevolezza, o di cui se ne ha una vaga e annebbiata percezione) che ha limitato e impedito al soggetto di esprimere i propri bisogni e le proprie emozioni.
Un grande terapeuta, M.H. Erickson, racconta la “storia di un cavallo” : quando era bambino trovarono un cavallo a pascolare nel prato della loro casa. Erickson, nonostante non sapesse da dove venisse, decise di riportarlo al proprietario. Come fece ? Salì sopra e lo portò per strada e lasciò che prendesse la direzione che voleva. Lo riportava sulla strada solo quando si fermava a pascolare in un campo. Il cavallo, infine, arrivò in una fattoria e,lì, il proprietario disse ad Erickson come avesse fatto a sapere che il cavallo era suo. Erickson rispose che lui non lo sapeva ma il cavallo si.
La funzione del terapeuta è quella di “riportare” il paziente sulla propria strada, la strada dove può riconoscere i suoi meccanismi e le sue convinzioni limitanti , la strada dove si può riconoscere degno d’amore, in contatto con il centro e l’essenza del suo essere.
Intraprendere una psicoterapia significa scegliere un percorso esistenziale che porta ad una migliore conoscenza di sé, a ri-scoprire le nostre potenzialità creative, a rientrare in se stessi , in quanto la verità all’interno di noi, a sentirsi e pensarsi sempre più in connessione con il mondo, “ io sono anche il mondo: io,micro-cosmo, sono uguale al mondo, macro-cosmo, nel senso che la logica che governa entrambi è la medesima”. (V. Mancuso)
Per scegliere la strada della psicoterapia occorre entrare in una dimensione di impegno e di responsabilità e attingere ad una certa dose di coraggio , requisiti che non necessariamente appartengono a tutti coloro che stanno male o sono insoddisfatti della loro vita, infatti la psicoterapia non è per tutti.
Letture consigliate
- ¥ J. Hillman, “ Le storie che curano”, Raffaello Cortina Editore
- ¥ M. Cardinale, “Le parole per dirlo”, Bompiani
- ¥ E. Polster ,“ Ogni vita merita un romanzo”, Astrolabio