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UNA BUONA COMUNICAZIONE MADRE-FIGLI

Categoria: In Radio
Tematiche: Genitori
UNA BUONA COMUNICAZIONE MADRE-FIGLI

“Stamani, giorno festivo, ho chiesto a mia figlia di otto anni se volesse fare colazione in pasticceria. Detto ciò feci una pausa e pensai che non fosse il caso di completare la richiesta con una frase del tipo “se non vuoi puoi anche rimanere a casa, fa ciò che più ti va di fare” e mi resi conto che omettendo questa seconda parte l’atteggiamento di mia figlia era stato diverso dal solito: caldo ed accogliente come mai prima. Subito mi rispose, con fare gentile, che non se la sentiva di accompagnarmi fuori e che preferiva rimanere a casa; le dissi che anche se non veniva con me le volevo bene, anzi, le volevo ancora più bene perché mi aveva detto ciò che sentiva. Mia figlia mi abbracciò e mi disse che era contenta che le volessi bene anche se non mi accompagnava a fare colazione.”

 

Tratto dalla reale testimonianza di una Signora.

 

Discussione: 

 

RVS (Conduttore Radio Voce Speranza): la signora in questione si è astenuta dal dire quello che avrebbe detto in tante altre circostanze e proprio questo “ritegno” le favorisce un atteggiamento positivo da parte della figlia. Due parole sul controllo del linguaggio.

 

GT (dott. Giuseppe Tomai): il linguaggio trasporta dei messaggi e qui c’è l’attenzione a che tipo di messaggi vengono veicolati: c’è una madre che esplicita il suo bisogno mettendo la figlia di fronte alla scelta di condivisione o meno di tale necessità. Probabilmente la madre non ha rassicurato, con il linguaggio, la figlia circa il fatto che le avrebbe voluto bene a prescindere dall’eventualità che quest’ultima fosse venuta o meno con lei a fare colazione. Tuttavia ciò ha fatto fuoriuscire, nella bambina, sia la presenza di un suo bisogno diverso cioè quello di rimanere a casa, sia la preoccupazione che la madre possa rimanerci male. La loro esternazione reciproca di bisogni le fa avvicinare al punto che la madre dice di volere ancora più bene alla figlia, nonostante non venga con lei, per avere esternato la sua necessità.

 

RVS: è il caso di persone, un po’ particolari, che riescono ad esprimere emozioni in maniera molto articolata e non molto diffusa?

 

GT: viviamo in un clima sociale e culturale dove il modo di esprimersi nonché la distinzione fra bisogni, sentimenti, intenzionalità, comportamenti sono resi difficili da un analfabetismo relazionale. Occorre sfatare il mito di una naturalità che noi dovremmo avere, esiste la necessità di apprendere anche nel campo della sensibilità, spesso svalutato soprattutto nell’ambito maschile.

 

RVS: come si fa ad apprendere?

 

GT: bisogna, come in tutti gli apprendimenti, capire dove c’è un intoppo e dunque fare un lavoro di introspezione. Dopodiché avviare piccoli passi mettendoci alla prova ed, anche attraverso un linguaggio diverso, sperimentare piccole comunicazioni. Per esempio è già un esperimento comunicativo stare un po’ in silenzio col proprio figlio perchè fa percepire a questo, immediatamente, uno spazio di ascolto evitando che gli si stia sempre addosso, pressandolo.

Tendenzialmente o reprimiamo o diamo libero sfogo alle emozioni senza sperimentare modulazioni in tutto ciò, non siamo animali né esseri compiuti, esiste un “progetto uomo” che è qualcosa in divenire.

 

RVS: hai da consigliare qualche libro sull’alfabetizzazione emotiva?

 

GT: parlando proprio di emozione si può citare l’oramai classico “Intelligenza emotiva” di Goleman, libro divulgativo semplice e ricco di spunti per avviare una riflessione operativa dentro di sé.